Articolo Il mondo animale Curiosità
l'ultimo dei maniscalchi freccelunedì 23 settembre 2013      


Ne è passata di acqua sotto i ponti dal tempo in cui i ‘signori’ in segno di munificenza facevano applicare al proprio destriero un ferro d’oro in maniera malferma, di modo che questo, staccandosi, facesse la fortuna di chi lo avesse trovato (da qui la credenza popolare che qualifica il ferro di cavallo quale oggetto portafortuna, da appendere sull’uscio di casa); ma l’arte della mascalcia, antico e difficile mestiere di ferrare equini e bovini da lavoro, ha mantenuto tutto il proprio fascino. Il tramonto del cavallo quale mezzo di trasporto, ha inferto un colpo mortale a questa professione.

Oggi, infatti, nonostante la riscoperta delle discipline equestri, quello del maniscalco può essere considerato un mestiere in via di estinzione. In qualche paesino ancora sopravvive una tradizione artigianale, tramandata di padre in figlio, di gente esperta nel forgiare ed applicare i ferri agli zoccoli dei cavalli; è il caso della famiglia Insardi: attualmente il ‘titolare’ è Celestino, sulla breccia da oltre mezzo secolo, ma il capostipite della tradizione di famiglia fu il nonno, che apprese l’arte frequentando sotto le armi la rinomata Scuola militare di Pinerolo. Forgiare un ferro di cavallo è più facile da dire che da fare; riprova ne è il fatto che la quasi totalità della produzione del settore oggi è realizzata a livello industriale.

Una buona ferratura – spiega quello che, parafrasando il titolo del noto libro scritto da Fenimore Cooper, potremmo definire l’ultimo dei maniscalchi -, presuppone innanzitutto la creazione e la lavorazione manuale di un buon ferro, il quale dovrà adattarsi perfettamente allo zoccolo della bestia; ogni esemplare equino, infatti, possiede una particolare conformazione dello zoccolo, in base alla quale gli viene forgiato il ferro. Senza contare poi – continua il nostro interlocutore -, i casi in cui la ferratura ha scopi correttivi o terapeutici; come ad esempio nei difetti di appiombo o in caso di lesioni a carico dei tendini.

Quando vive allo stato brado
– spiega ancora Celestino Insardi -, il cavallo non necessita di ferratura, perché nei pascoli e nei terreni naturali si realizza il perfetto equilibrio tra usura e crescita dell’unghia; in cattività, invece, il cavallo è costretto a camminare su terreni assai duri come strade e piste battute, e ciò sottopone lo zoccolo ad un’usura non compensata, con gravi conseguenze per l’animale. La ferratura elimina questo inconveniente, ma poiché con essa l’usura è inesistente si deve provvedere al pareggio (in media ogni trenta-quaranta giorni) per riportare lo zoccolo alle normali dimensioni”. ©  RIPRODUZIONE RISERVATA

Marcello  Gelfusa - vedi tutti gli articoli di Marcello  Gelfusa



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Oggi, infatti, nonostante la riscoperta delle discipline equestri, quello del maniscalco può essere considerato un mestiere in via di estinzione. In qualche paesino ancora sopravvive una tradizione artigianale, tramandata di padre in figlio, di gente esperta nel forgiare ed applicare i ferri agli zoccoli dei cavalli; è il caso della famiglia Insardi: attualmente il ‘titolare’ è Celestino, sulla breccia da oltre mezzo secolo, ma il capostipite della tradizione di famiglia fu il nonno, che apprese l’arte frequentando sotto le armi la rinomata Scuola militare di Pinerolo. Forgiare un ferro di cavallo è più facile da dire che da fare; riprova ne è il fatto che la quasi totalità della produzione del settore oggi è realizzata a livello industriale.

Una buona ferratura – spiega quello che, parafrasando il titolo del noto libro scritto da Fenimore Cooper, potremmo definire l’ultimo dei maniscalchi -, presuppone innanzitutto la creazione e la lavorazione manuale di un buon ferro, il quale dovrà adattarsi perfettamente allo zoccolo della bestia; ogni esemplare equino, infatti, possiede una particolare conformazione dello zoccolo, in base alla quale gli viene forgiato il ferro. Senza contare poi – continua il nostro interlocutore -, i casi in cui la ferratura ha scopi correttivi o terapeutici; come ad esempio nei difetti di appiombo o in caso di lesioni a carico dei tendini.

Quando vive allo stato brado
– spiega ancora Celestino Insardi -, il cavallo non necessita di ferratura, perché nei pascoli e nei terreni naturali si realizza il perfetto equilibrio tra usura e crescita dell’unghia; in cattività, invece, il cavallo è costretto a camminare su terreni assai duri come strade e piste battute, e ciò sottopone lo zoccolo ad un’usura non compensata, con gravi conseguenze per l’animale. La ferratura elimina questo inconveniente, ma poiché con essa l’usura è inesistente si deve provvedere al pareggio (in media ogni trenta-quaranta giorni) per riportare lo zoccolo alle normali dimensioni”. ©  RIPRODUZIONE RISERVATA

Marcello  Gelfusa - vedi tutti gli articoli di Marcello  Gelfusa





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